Una grave minaccia per le imprese regolari e in particolare per quelle operanti nell’artigianato, deriva dall’abusivismo. Sulla base degli ultimi dati disponibili, elaborati dal Centro Studi di Confartigianato Emilia-Romagna, si evidenzia che nel 2016 in Emilia-Romagna il lavoro irregolare rappresenta il 4,2% del valore aggiunto realizzato dalle imprese del territorio. Nella nostra regione sono 208 mila gli occupati non regolari in salita del 3,8% rispetto a tre anni prima (2013), diversamente dall’occupazione regolare che dal 2013 al 2016 resta stazionaria. Il sommerso rappresenta dunque il terzo settore dell’economia della regione: gli occupati irregolari sono quasi due volte gli occupati regolari nel settore delle Costruzioni.

Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza degli occupati non regolari sul numero totale di occupati, è pari al 10,0% (il valore nazionale è del 13,1%), ciò significa che in Emilia-Romagna c’è 1 lavoratore irregolare ogni 10 regolari (10,0% dell’occupazione totale). A livello settoriale il tasso di irregolarità maggiore è il 16,0% dell’Agricoltura, seguito dall’11,5% dei Servizi, dal 10,3% delle Costruzioni e dal 4,6% del Manifatturiero.

In Emilia-Romagna dove gli occupati non regolari che competono in modo sleale sono quasi dimezzati rispetto agli addetti dell’artigianato (0,6) si evince una concorrenza sleale meno accentuata rispetto al livello nazionale dove mediamente si contano 1,1 occupati non regolari per ogni addetto dell’artigianato. Nella regione sono 85 mila le imprese artigiane maggiormente esposte alla concorrenza sleale del sommerso (il 67,1% dell’artigianato). A livello provinciale si conta un maggior numero di imprese artigiane esposte al fenomeno a Bologna (17.800 imprese), Modena (12.715 imprese) e Reggio Emilia (12.425 imprese). La disponibilità a lavorare senza un regolare contratto di lavoro aumenta all’aumentare delle difficoltà ad accedere al mondo del lavoro regolare.

Il sommerso è incentivato dall’eccessiva pressione fiscale che caratterizza l’economia italiana, basata su un’elevata tassazione del lavoro. L’analisi dei dati recentemente pubblicati dall’Ocse relativi al 2018 evidenzia che in Italia persiste un elevato cuneo fiscale, che per lo scorso anno è pari al 47,9%, di 11,8 punti superiore alla media dei paesi avanzati (36,1%) e il terzo più alto dopo Belgio (52,7%) e Germania (49,5%). Tutto ciò porta a un aumento della pressione fiscale sui contribuenti onesti, unici a pagare imposte e contributi sociali, diminuendone la competitività verso la concorrenza estera e verso le imprese ‘in nero’.

“Questi numeri portano a una riflessione che, se da un lato è di ferma condanna all’abusivismo, dall’altro chiede una politica seria ed efficace di incentivo al lavoro regolare – commenta Marco Granelli, presidente di Confartigianato Imprese Emilia-Romagna -, con una lotta mirata all’evasione, affiancata da interventi che migliorino le condizioni di contesto per fare impresa, come l’accesso al credito, la risoluzione di dispute commerciali e l’ottenimento di permessi di costruzione o di ristrutturazione. In tal senso si può ricordare come In Emilia-Romagna siano state applicate detrazioni per ristrutturazioni e riqualificazioni energetiche per 855 milioni di euro nell’anno d’imposta 2017, sostenendo investimenti che hanno coinvolto il lavoro di 22 mila occupati del Sistema Casa”.

“Accanto a ciò crediamo necessaria una reale sburocratizzazione della vita delle imprese e una diminuzione del carico fiscale, che lasci margini per operare con serenità e per poter fare investimenti in nuove tecnologie e forza lavoro”, conclude Granelli.