Le imprese in Emilia-Romagna si posizionano in testa alla classifica nazionale fra le regioni con maggior capacità di ripresa sui livelli di Pil pre crisi. Questo è quanto emerge dal diciassettesimo report di Confartigianato “Le tendenze a inizio 2022, tra rischi e opportunità” nelle sue evidenze emiliano-romagnole. Le variazioni triennali nel periodo compreso fra gli anni 2019 e 2022 registrano una previsione di crescita del Pil dell’Emilia-Romagna del 4,2%. Il dato è trainato in particolare dall’export.

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Davide Servadei: “Il mondo imprenditoriale che si è attrezzato per assecondare al meglio questa ripresa”

“Stiamo assistendo a una situazione paradossale. Da una parte si sono create grandi potenzialità di crescita. Basta guardare i dati di recupero del Pil in regione dopo la batosta della prima fase della pandemia, con il mondo imprenditoriale che si è attrezzato per assecondare al meglio questa ripresa, anche con importanti investimenti sul fronte dell’innovazione tecnologica e di sistema. Dall’altra troviamo le imperfezioni del modello economico internazionale, che si sono concretizzate con la riduzione delle materie prime e con un esorbitante aumenti del prezzo delle stesse, in particolare delle commodities energetiche, stanno rendendo vani tutti questi sforzi”, afferma Davide Servadei, presidente di Confartigianato Emilia-Romagna.

Il valore dell’export

In regione l’ammontare delle vendite oltre confine di prodotti moda, legno, arredo, metalli, alimentari e altra manifattura, realizzati nei settori a maggior presenza di micro piccole realtà produttive, ha superato quello pre pandemia (I-III trimestre 2019) del +1,8%, grazie al recupero delle esportazioni di mobili (+21,8%), prodotti alimentari (+16,3%), legno (+14,5%), metalli (+6,1%) e beni delle altre manifatture come gioielli, occhiali, etc. (+2,6%). Resta invece ancora preceduto da segno meno l’export dei prodotti moda made in Emilia-Romagna (-12%). A livello provinciale l’export di MPI nel periodo I-III trimestre 2021 recupera e supera i livelli pre crisi (I-III trimestre 2019) a: Ravenna (+31,7%), Parma (+16,8%) e Modena (+7,7%).

La crescita delle imprese in Emilia-Romagna

Ripartono anche le nuove iscrizioni di impresa, permettendo la continuità della rigenerazione del tessuto produttivo imprenditoriale del nostro territorio. Durante le festività natalizie appena trascorse la mobilità delle persone nei negozi e negli esercizi di ricreazione, proxy dei consumi e della domanda interna, rileva che nella nostra regione, come per tutte le altre, la situazione è migliorata rispetto a quella rilevata un anno prima. Resta in sofferenza il turismo che, ancora nei primi 9 mesi del 2021, non recupera i livelli dello stesso periodo del 2019.

Mercato del lavoro

Sul fronte mercato del lavoro, l’indicatore che misura l’evoluzione dei rapporti di lavoro alle dipendenze recupera nel 2021 rispetto al 2020 attestandosi al +3,2%.

I rischi per le imprese in Emilia-Romagna

Persiste però il problema della difficoltà di reperimento di manodopera. I dati a gennaio 2022 registrano il 41,1% delle imprese, quota superiore di 3,8 punti rispetto a quella di gennaio 2020 (37,3%).
Se a questa problematica aggiungiamo le incertezze sul fronte materie prime e gli aumenti fuori controllo delle stesse, è difficile fare previsioni per il 2022. Di certo ad oggi le imprese iniziano ad avvertire pesantemente gli effetti del caro prezzi. L’autotrasporto, ad esempio, rischia già di operare in perdita.

Servadei: per sostenere la ripresa “occorre agire a livello strutturale”

“L’analisi del nostro Centro studi ci incoraggia ad operare sempre di più a livello politico, per chiedere un impegno forte del Governo ad affrontare la situazione che si è creata sul fronte internazionale, mettendo in campo tutte le energie e le relazioni necessarie, forti anche di una nuova stabilità politica dopo la riconferma di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Nello stesso tempo però occorre agire a livello strutturale, a cominciare dalle imperfezioni della bolletta energetica e sugli squilibri che fanno pagare alle piccole imprese costi per materie prime più alti anche di 3 o 4 volte quelli pagati dalle grandi imprese”, conclude il presidente Servadei.